L’elefante e la Scimmia
- Marco Carione
- 14 mag
- Tempo di lettura: 4 min
Nel buddhismo, la mente è spesso paragonata ad un ELEFANTE indocile che tende a uscire dal sentiero (verso l’illuminazione). Questo animale è simbolo di forza mentale e dell’ego; tuttavia, prima di essere addestrato distrugge tutto ciò che trova sulla sua strada. La nostra mente è come l’elefante ancora allo stato brado: viene brevemente domata dalla mindfulness, poi continua a comportarsi in modo imprevedibile[1].
L’elefante rappresenta il nostro ego, pesante, restio a muoversi e a evolvere, desideroso di restare fermo in un posto che sente sicuro e familiare. L’ego non vuole cambiare, pensa che vada bene così com’è, nega che ci sia qualcosa da migliorare. È riluttante, cocciuto, e fortemente ostinato a non voler affrontare alcun cambiamento. Sta seduto e si rifiuta di fare il benché minimo movimento[2]. Addestrando l’elefante in maniera costante, rafforziamo la sua capacità di pazienza e docilità; se facciamo altrettanto con la mente, diventerà fedele e responsabile, più disposta al cambiamento e al lasciare andare. Ma non è un’impresa rapida.

Questo percorso è rappresentato da un MONACO (rappresenta la nostra vera natura e il suo compito è quello di domare e guidare aspetti del sé, come affrontare il cambiamento e non restare immobili, l’irrequietezza ecc.) che tiene in mano un GANCIO (simbolo di introspezione) e una CORDA (simbolo di consapevolezza). Il monaco fa, dapprima, concentrare la mente dell’elefante su un oggetto (mantenendo tale concentrazione), nella mindfulness è tipico prendere come oggetto il respiro, quindi passa a una introspezione più forte, fino a sperimentare una mente tranquilla.

Lungo la strada vi sono specifiche fasi di controllo mentale da superare applicando il potere della memoria - nel senso di ricordo di sé - (corda) e della vigilanza (gancio di addestramento).
Il termine Mindfulness[3] si riferisce all’esperienza di uno stato mentale: «la consapevolezza che emerge attraverso il prestare attenzione in un particolare modo: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante» (cit. John Kabat Zinn). «L’intenzione è una componente fondamentale della mindfulness»[4]: l’intenzione di esserci con curiosità, coraggio e gentilezza, che richiede disciplina, concentrazione, costanza ma anche la disponibilità a mantenere il cuore aperto (Traverso C. p.2).
Quando il monaco inizia il suo viaggio, la mente dell’elefante non è addestrata ed è guidata solo dalla SCIMMIA della distrazione e del divertimento (pensiamo oggi ai Social). La scimmia continua a saltare cercando di far distrarre l’elefante e il suo conduttore. La scimmia rappresenta la mente, e la sua irrequietezza descrive la fatica che facciamo a governare la nostra coscienza, i nostri pensieri e i comportamenti che ne conseguono[5]
Ti è mai capitato di non riuscire a prendere sonno per via della miriade di pensieri che ti frullavano in testa – un continuo avanti e indietro tra liste di cose da fare, scenari apocalittici e analisi dettagliate delle discussioni con tua madre? O di doverti concentrare su un’importante scadenza di lavoro ed essere invece continuamente distratto dal cellulare, dai social media e dalla posta elettronica?

Questa è quella che negli antichi testi buddisti viene chiamata la “mente scimmia”, scimmia impazzita che è la tua mente, sempre in cerca di gratificazioni nel mondo esterno.
“Proprio come una scimmia, che girovagando nella foresta afferrasse un ramo, lasciandolo poi andare per afferrarne un altro per poi lasciare andare anche quello per afferrarne un altro ancora, allo stesso modo, ciò che chiamiamo ‘pensiero’, ‘mente’ o ‘coscienza’ sorge in un certo modo per poi diventare qualcosa di diverso, e questo accade in continuazione, sia di giorno che di notte”. È una metafora che raffigura la mente umana come una scimmia irrequieta in costante movimento. Metafora che appare ancora più pertinente nella nostra epoca iperconnessa dominata da tablet e smartphone, dallo “scrollare” di continuo, che si è sostituito al più vecchio “fare zapping”.
In ambito scientifico la mente scimmia viene associata ad una struttura cerebrale chiamata default mode network, ed è lì che la nostra mente va quando non prestiamo attenzione a ciò che abbiamo di fronte. Il Default Mode Network è attivo quando la mente vaga da un pensiero all’altro, risposta simile alla ruminazione mentale e che non sempre favorisce uno stato di benessere.

Riprendendo la metafora del monaco, dell’elefante e della scimmia, gradualmente, egli applica i metodi corretti, riuscendo alla fine a raggiungere la concentrazione su un unico punto (simboleggiato dalla SPADA FIAMMEGGIANTE).
In CNV si parla di addomesticare ( e non di domare) poiché è un processo che si svolge con fiducia e libertà. In CNV si parla di incontro prima di tutto scendendo nel nostro “pozzo” interiore. Questo incontro è un movimento, spesso lento e tutto interiore, da me a me e poi da me all’altro[6].
La mindfulness è concentrazione con “una marcia in più”. Quando ci addentriamo nell’attenzione attraverso il respiro o le sensazioni sottili del corpo, iniziamo un nuovo rapporto con la concentrazione, che a sua volta favorisce la nostra capacità di consapevolezza.
Con il tempo acquisiamo maggiore stabilità mentale e sperimentiamo una calma interiore più profonda

La mindfulness è una ricerca che dura tutta la vita.
Buona Pratica
[1] Tratto da Perché la mindfulness non basta, la via della compassione attraverso l’equanimità
[2] Tratto dal podcast di mindfulnessbergamo
[3] Da Cristiano Crescentini Neuroscienze della Mindfulness e sue applicazioni in ambito clinico e per la salute - YouTube
[4] Traverso C.; Mente calma cuore aperto , Pickwick ed., dalla prefazione di Enzo Soresi
[5] Tratto dal podcast di mindfulnessbergamo
[6] Tratto da D’Ansembourg, p. 197-199